Polaroid … un mito

 

Nel 1943, Jennifer, la figlia minore del sig. Edwin Land chiese, con la curiosità tipica dei bambini, come mai non poteva vedere subito le sue foto appena scattate.
Non so se leggenda o realtà, però sia quel che sia, è bello pensarla così.

Nacque così, nel 1947, la prima “macchina fotografica istantanea”.

Per chi, come me, ha poi passato i suoi anni in simbiosi con la fotografia, direi che l’invenzione del sig. Land sia stata un capitolo non indifferente della professione e, perché no, pure del piacere dello scatto.
Non si può negare che, inizialmente, per il grande pubblico la Polaroid era sinonimo del “facciamoci una foto che poi la vediamo subito”, ma la sua funzione e le sue tecniche si rivelarono molto rapidamente un valido supporto in tanti altri settori, da quello artistico fino a quello scientifico. Non bisogna poi dimenticare che il nome Polaroid è legato (ovviamente) ad un’altra idea di quel fenomeno di Land che è stato il “Foglio Polarizzante”, una pellicola di plastica con incorporati dei cristalli di “erapatite”.
L’idea di base era permettere di eliminare se non tutti, almeno quasi tutti, i riflessi dovuti a fonti luminose intense che colpivano oggetti riflettenti.
Come altro aneddoto si racconta che Land invitò i dirigenti della Società Optical nella sala di un albergo dove un acquario con dei pesci rossi veniva colpito dal bagliore del sole che rendeva i pesci praticamente invisibili. Con un foglio polarizzato attraverso cui guardare l’acquario gli invitati riuscirono a focalizzare i pesci rossi.
Detto fatto: le lenti vennero subito acquistate e nacquero così i primi occhiali a lenti polarizzate.
Altra caratteristica di Land era la sua stravaganza, il desiderio di innovazione e l’essere sempre un passo avanti all’ordinarietà. Ripeteva sempre: “Se vale la pena di fare qualcosa, allora è meglio farla in eccesso”. Inutile dire che a lui si sia sempre ispirato quell’altro grande visionario che era Steve Jobs.

Apriamo per un attimo un altro capitolo che credo non sia (purtroppo) molto conosciuto ai più.
Pur essendo questo settore appannaggio quasi esclusivo degli uomini, la Polaroid divenne un’icona culturale grazie al contributo di una donna: Meroe Marston Morse.
Laureata in storia dell’arte allo Smith College entrò subito a far parte della Polaroid.
Era il 1945 quando Morse iniziò a dirigere la sezione pellicole in bianco e nero; dopo un intenso lavoro riuscì a portare le Polaroid dalle stampe monocromatiche di tonalità seppia alle vere pellicole in bianco e nero nonostante le enormi difficoltà dovute alla fastidiosa facilità di rilasciare sulle stampe le impronte digitali e al problema che dopo pochi mesi quelle stampe sbiadivano inesorabilmente.
Grazie alla sua formazione in storia dell’arte Morse voleva che la tecnologia fosse sempre e comunque anche al servizio degli artisti. Significativi erano i rapporti che manteneva con fotografi come Minor White, Ansel Adams e con Marie Cosindas pioniera della fotografia artistica a colori.

Riporto una lettera del 1953 inviata a Morse dove Ansel Adams criticava le pubblicità dell’azienda che: “Servivano a porre l’accento sull’uso casuale e amatoriale della fotocamera e del processo che, a mio avviso, ha minimizzato gli aspetti più importanti. La maggior parte delle persone la considera un semi-giocattolo”.
Ansel Adams, infatti, il grande fotografo di paesaggi che utilizzava il grande formato in bianco e nero era solito scattare sempre una Polaroid per valutare a priori la composizione e l’esposizione di un’immagine prima dello scatto finale su negativo.

Anche per noi fotografi del secolo scorso la Polaroid è stata una pellicola molto versatile e “disponibile” per la creazione di immagini particolari, artistiche se vogliamo: chi non ha mai utilizzato pellicole scadute dove tra i colori regnava l’anarchia, oppure usare aghi o oggetti appuntiti per intervenire sui coloranti a metà sviluppo, oppure ancora utilizzare fonti di calore su varie zone della stampa a colori.
Morse morì nel 1969 a soli 46 anni e Polaroid dichiarò bancarotta nel 2001 lasciando i fotografi che avevano nel loro cuore un angolino di Polaroid nella più cupa disperazione.
All’inizio del 2008 e all’ormai prossima chiusura definitiva degli stabilimenti, Florian “Doc” Kaps e Andrè Bosman riuscirono a raccogliere più di mezzo milione di dollari per salvare fabbriche, pellicole e tecnologie dell’azienda riportando Polaroid sul mercato.
Ma, con mio rammarico, è tutta un’altra storia.

(Polaroid SX 70 realizzate con pellicole scadute – Serie “Ombre” – Paolo Bassi)

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