Ludovico Carracci e… l’uomo misterioso

 

Nel primissimo tratto della collina su cui poggiano gli ultimi resti delle antiche mura di Bologna, spicca il complesso religioso di San Michele in Bosco a cui è addossato il celebre ospedale dedicato a Francesco Rizzoli, il grande chirurgo/ortopedico che ne permise la realizzazione acquisendo, nel 1879, il convento olivetano dopo che i napoleonici ne avevano razziato tutti i beni artistici, cacciato i monaci e trasformato il luogo sacro in un’orrida galera per ergastolani.
Fu un vero e proprio schiaffo materiale e morale al mondo cattolico ma del resto, purtroppo, per il dittatore Bonaparte questa era solo routine.
Con Rizzoli, però, il complesso monumentale e storico poté ritornare ai suoi antichi splendori; l’istituto ospedaliero fu inaugurato dal re Umberto I, il 28 giugno 1896, con il nome di Istituto Ortopedico Rizzoli in onore del suo ideatore che, nel frattempo, era passato a miglior vita.
Nonostante le barbariche espoliazioni napoleoniche, l’antico convento conserva tuttora preziosi dipinti ad affresco ed altre opere artistiche disseminate tra chiostri e bellissime sale ancora recanti dipinti del Vasari che a Bologna soggiornò per un breve periodo, con l’incarico d’ affrescare alcune zone del monastero, pur dovendo fare i conti con la scarsa benevolenza dei Carracci (e non solo) che lo consideravano un concorrente autoreferenziale e di conseguenza, una sorta di minaccia per la loro fama d’ insigni pittori.
Ebbene, aggirandosi in quella che oggi è denominata Sala Bacchelli (ma un tempo era adibita a foresteria del monastero), ci si imbatte in uno splendido affresco di Ludovico Carracci (Bologna,1555-1619), posto proprio sopra al camino d’epoca tardo- rinascimentale che adorna l’elegante ambiente.

Tale opera del celebre pittore bolognese, maestro dello stile barocco, costituisce l’oggetto su cui fissiamo la nostra attenzione in questa di indagine storico/artistica.
Il dipinto raffigura un episodio tratto dagli Atti degli Apostoli, narrato nei versetti 10 /1-32 e 11/ 1-18; esso si riferisce al periodo in cui l’apostolo Pietro era ospite a Jaffa (oggi quartiere di Tel Aviv), presso la casa di un non meglio definito Simone Coriario (cioè conciapelli, come afferma il termine latino “coriarius/a/um”.
Fin qui nulla di strano, poiché essendo collocato all’interno di un monastero, il tema del dipinto è del tutto consono al contesto in cui si trova.
La scena raffigura l’Apostolo Pietro durante un banchetto mentre conversa con alcuni personaggi seduti accanto e di fronte.
Un domestico, in piedi, gli serve da bere da una brocca: Pietro gli pone il bicchiere restando, però, rivolto (mediante torsione del busto) verso un soldato: i due stanno dialogando.
La scena è in pieno movimento: si percepisce il via vai della servitù che porta in tavola dei vassoi colmi di cibi per gli astanti.
A servire vi sono altri due uomini, in piedi e in attività: uno è impegnato a posare delle vivande sulla tavola imbandita, mentre con un braccio sorregge un vassoio da offrire ai commensali.

Un terzo domestico, in posizione retrocessa rispetto agli invitati seduti, controlla che in tavola non manchi nulla e intanto tiene in mano un piatto con altro cibo (forse un trancio di formaggio o comunque un cibo solido come si può dedurre, non certo dall’affresco originale, che oggi purtroppo non è più perfettamente conservato e necessiterebbe di un qualche restauro pittorico, ma lo si può dedurre da un ingrandimento della foto dell’opera pubblicata nel testo di Angelo Rambaldi dal titolo San Michele in Bosco. C’era una volta sul colle (Vol. 15, IOR, Istituto Ortopedico Rizzoli edizioni, Bologna, pag. 36) ed è confermato da un’antica stampa del XVIII secolo, realizzata dal maestro incisore Carlo Antonio Pissarri, che oggi fa parte della Raccolta Gastronomica Accademia Barilla di Parma e che riproduce proprio questa specifica opera di Ludovico Carracci, come citato nella scritta in basso che l’autore ha voluto apporre alla stampa stessa e che dice così: “San Pietro in casa di Simone Curiario. Di Lodovico Carracci in una sala abbasso nel Monastero di S Michele in Bosco de R.R. Monaci Olivetani”.
A destra, sotto alla scritta, è presente la dicitura: “Carl’Antonio Pissarri deli… e inci…” a sinistra, invece: “Fernando Pissarri forma in Bologna”.

Questa antica incisione è molto importante (sebbene presenti alcune difformità rispetto al dipinto del Carracci) ed è utile al fine di recuperare, almeno in parte, alcuni aspetti della scena originale che attualmente, a causa della imperfetta conservazione del dipinto, non sono pienamente leggibili nella loro completezza.
Una vistosa differenza tra le due opere è riscontrabile nel personaggio defilato dal gruppo dei commensali: in entrambi i casi è rappresentato a figura intera ma nel dipinto carraccesco, nonostante oggi non sia più possibile distinguerlo nettamente, il personaggio pare essere ritratto di spalle, incamminato verso l’uscita dall’arco d’accesso all’ambiente dove si sta svolgendo la scena conviviale.
Nell’incisione del Pissarri, invece, è ben delineato un soggetto maschile abbigliato con vesti d’epoca greco/romana o dell’antico mondo ebraico, che sta ritto in piedi, ma ben a distanza, ad osservare quanto accade durante il banchetto.
Da notare che alcuni personaggi della scena, indossano copricapi e corsetti maschili tardo/rinascimentali, quelli che si usavano al tempo di Ludovico Carracci.
Questo elemento di attualizzazione delle scene pittoriche mitologiche o bibliche, è tipico non solo delle opere di Ludovico ma anche di Agostino e Annibale Carracci, i suoi due celebri cugini e colleghi.
Anche il contesto ambientale richiama i tipici canoni di campitura architettonica usata abitualmente dai tre maestri pittori; si tratta di una sorta di scenario “arcadico”, senza tempo, adatto per rappresentare luoghi noti ai Carracci come pure contesti esotici ed epoche molto più antiche della loro, ma un campanile (oggi ormai assai poco visibile) fa capolino, in lontananza, all’esterno del varco arcuato.
Altri esempi di tal genere di contesto architettonico lo si può riscontrare in altre loro opere: le “Storie di Giasone e Medea,” affreschi che adornano Palazzo Fava, a Bologna, oppure “La Presentazione al tempio” o ancora, alcuni fregi di Palazzo Magnani come “Remo uccide il re Amulio”.
Sono tutte opere in cui i Caracci ripetono il medesimo stile d’ambientazione extratemporale.

Nel caso di “San Pietro a cena di Simone Coriario” Ludovico narra un episodio della Bibbia, dunque è comprensibile che il dipinto abbia connotazioni di attualizzazione poiché, simbolicamente, le narrazioni bibliche sono un monito anche per chi vive in contesti temporali successivi: i monaci avevano un obiettivo educativo verso la dottrina cattolica e l’arte visiva era un mezzo di comunicazione altamente funzionale ed efficiente, non a caso si servivano degli artisti.
Tra i personaggi del convivio carraccesco troviamo anche un monaco seduto con la comitiva dei commensali: certamente un simbolo per omaggiare la committenza per la realizzazione dell’affresco.
Altro elemento caratteristico sono gli animali domestici, come il cane e il gatto, spesso presenti negli scenari pittorici di tutti e tre cugini bolognesi.
Addirittura, nel dipinto, uno dei commensali si china per raccogliere una stoviglia caduta o forse deposita qualche avanzo per i due animali: comunque sia, è segno che l’artista desidera trasmettere un senso di quotidianità alla rappresentazione scenica.
Vi è però un elemento che ha destato particolare interesse in qualche studioso e ha posto alcuni quesiti a cui si è cercato di dare risposte, a nostro avviso, non del tutto risolutive.
Si tratta dell’individuazione e riconoscimento di un personaggio “misterioso” presente nel contesto scenico.
Tale personaggio ha suscitato una certa perplessità in alcuni storici dell’arte, riguardo alla sua identificazione; si tratta di una figura ritratta a mezzo busto, posizionata in piedi ma non ascrivibile al trio dei domestici i quali sono, sì, anch’essi in piedi, ma intenti a servire i commensali, anzi il soggetto (che indossa copricapo e camicia di stile tardo/rinascimentale) è silenzioso ma osserva con insistenza nella direzione di Pietro che, invece, è intento a dialogare con il militare seduto di fianco a lui, il quale si distingue non solo poichè indossa un elmo col pennacchio, ma pure per il fatto che ha una carnagione bruna tipica di un uomo mediterraneo.
L’asse che parte dallo sguardo del soggetto “misterioso” delinea una retta obliqua che attraversa il soldato per finire direttamente sulla figura di Pietro, suggerendo allo spettatore che l’attenzione dell’“uomo misterioso” ha come obiettivo proprio l’Apostolo di Gesù.
Inoltre, l’“uomo misterioso”, si trova dietro alle spalle del personaggio seduto e intento a bere da un grande bicchiere di vetro trasparente.
Il giapponese Kenichi Takahashi, dell’Università di Wacayama, il quale da anni si interessa della storia dell’arte bolognese del XVII secolo, ha ipotizzato (e finora non è stato smentito) che il personaggio “apparentemente estraneo” e “dall’aria beffarda”, (come viene descritto nel libro “San Michele in Bosco dagli olivetani all’Istituto Ortopedico Rizzoli”, dello studioso Angelo Rambaldi che da molti anni è responsabile del complesso monumentale di San Michele in Bosco), possa essere Adriano Banchieri, un monaco, organista e letterato coevo ed amico di Ludovico Carracci, vissuto tra il 1568 e il 1634, che veniva denominato Tommaso e ancora oggi ricordato da una lapide posta nella zona sinistra della chiesa di San Michele in Bosco.
Il motivo per cui Takahashi ipotizza tale identità, è dovuto al fatto che, a suo parere, essendo stato il Banchieri fondatore dell’Accademia dei Filomusi (da esso stesso diretta con lo pseudonimo di “Dissonante”) e divenuto Abate Onorario di San Michele in Bosco nel 1624, il Carracci avesse voluto inserire il suo ritratto nell’affresco, per celebrarne la figura critica e dissonante (da qui lo pseudonimo) rispettivamente agli ambienti accademici troppo invasivi nelle attività degli artisti.
Anche i Carracci, in ambito pittorico, avevano fondato l’Accademia degli Incamminati, dunque, ne conoscevano bene sia i pregi che i difetti.
L’ipotesi dello studioso orientale segue un ragionamento piuttosto logico e plausibile se si studia Ludovico Carracci dal punto di vista della sua vita, dell’ambiente artistico e dei rapporti con il mondo che lo circondava.

A nostro modesto avviso, però, analizzando l’opera pittorica e prendendo come principale bacino d’interesse la narrazione biblica che l’artista va a rappresentare nell’affresco, può sorgere una ulteriore ipotesi, che appare meno complessa da dimostrare, tanto più che neppure il ritratto del Banchieri (pubblicato nel già citato testo del Rambaldi) assomiglia nei suoi lineamenti marcati, nel naso diritto (non allungato in punta) e nell’ ovale del viso affilato, al personaggio dell’affresco di Ludovico (tanto più che nel ritratto ufficiale porta barba e baffi, ben curati, ad incorniciargli il volto, mentre nel dipinto carraccesco il personaggio misterioso ne è del tutto privo.

In realtà, l’affresco di Ludovico, come accennato poc’anzi, rappresenta, in chiave simbolica e allegorica, l’episodio biblico descritto negli Atti degli Apostoli” (Vs. 10 /1-32 e 11/ 1-18), come solevano fare i tre maestri Carracci.
Considerando, come punto fondamentale, che l’artista realizzò l’opera su commissione dei frati olivetani -dunque con un chiaro ed evidente scopo religioso- possiamo ragionevolmente pensare che l’artista si fosse documentato riguardo alla tematica da riprodurre nell’opera.
Ripercorrendo “virtualmente” il suo percorso informativo/preparatorio, possiamo anche rievocare il testo biblico come aiuto e supporto per interpretare lo scenario messo in atto dal pittore.
Al Vs. 10 /1-32, la Bibbia afferma che a Cesarea un uomo di nome Cornelio (non ebreo ma romano il quale, però, da pagano stava diventando cristiano), ricevette la visione di un angelo che gli intimava di mandare a chiamare l’Apostolo Pietro da Jaffa dove si trovava ospite di Simone Coriario (il conciapelli), abitante vicino al mare.
Cornelio, allora, mandò tre dei suoi uomini (due servitori e un soldato, definito come uomo religioso) perché Pietro si recasse a Cesarea, presso di lui.
Mentre i tre erano in viaggio verso a Jaffa, Pietro all’ora di pranzo ebbe, a sua volta, una visione in cui una tovaglia imbandita con cibo impuro (tra cui dei serpenti) scese dall’alto su di lui, per tre volte, e una voce gli intimava di mangiare quelle bestie.
Pietro si rifiutò perché riteneva quelle bestie impure, ma la voce autorevole risuonò, rimproverandolo di non definire profano ciò che Dio ha purificato.
Pietro, immediatamente, si risvegliò dalla visione restando attonito e senza capire il messaggio.
In quel momento i tre inviati di Cornelio si presentarono alla casa dove era ospitato Pietro con alcuni dei suoi e lo Spirito Santo si manifestò in lui avvertendolo che tre uomini lo stavano cercando e che sarebbe dovuto andare con loro perchè a mandarglieli era Dio. Pietro allora accolse i tre uomini fino al giorno seguente; infine, partì con loro e altri sei dei suoi compagni.
Il compito di San Pietro e degli Apostoli era quello di portare la parola di Cristo a tutti, anche ai non circoncisi; nell’antica religione ebraica i circoncisi erano considerati puri, i non circoncisi e i pagani erano ritenuti impuri; Gesù annullò questa regola affermando che chiunque segua Dio è purificato, a prescindere da tutto il resto.
L’episodio viene ripreso nel Vs.11 degli Atti degli apostoli, e racconta che i circoncisi della Giudea malgiudicavano Pietro perché insegnava la parola di Dio ai pagani e mangiava alle loro tavole, come a quella di Cornelio o del conciapelli di Jaffa.
Allora il racconto biblico ci viene in aiuto per interpretare l’affresco del Carracci, se inserito in un contesto ecclesiastico come il monastero olivetano di San Michele in Bosco, perché attesta, in modo convincente, che il centurione romano, Cornelio, fu il primo tra i pagani a convertirsi insieme con tutta la sua famiglia (At.Vs. 10); dunque, nel riprodurre il racconto in un affresco da apporre sul camino della foresteria moncale, l’artista doveva infondere un profondo significato, morale e religioso, di accoglienza; non è un caso che l’opera sia stata realizzata per la sala ove i frati accoglievano i forestieri. L’episodio biblico è stato esaminato dalla scrivente e messo a confronto con tre differenti versioni, tradotte in lingua italiana, da testi attendibili e pubblicati in epoche e periodi diversi: il primo è il testo ufficiale e riconosciuto dalla Chiesa, risalente al 1983, il secondo è una versione ufficiale recente, data alle stampe nell’anno 2017; il terzo è un testo in lingua italiana, in volgare, pubblicato nel 1471 dal tipografo Nicolas Jenson e ristampato nel 1882 da Carlo Negroni, letterato italiano .
Il risultato di tale confronto è che ciascuno dei testi riporta la medesima traduzione: ciò attesta che, qualora il pittore bolognese avesse ricercato nei testi sacri la narrazione del racconto biblico che andò a riprodurre nell’ affresco, è assai presumibile che egli avesse avuto accesso a traduzioni compatibili con quelle che di cui noi, oggi, disponiamo.
In conclusione, abbiamo ragione di ipotizzare, con una certa convinzione, che il personaggio misterioso presente nel dipinto non sia altri che uno dei tre inviati dal centurione Cornelio il quale, per precisa volontà divina, di lì a poco (e proprio attraverso l’intervento dell’Apostolo Pietro), sarebbe stato il primo pagano della storia a convertirsi al Cristianesimo.
Per questo motivo e partendo da tale presupposto, la narrazione secondo il progetto pittorico di Ludovico Carracci risulterebbe la seguente:
1)-Il contesto scenico è quello di un ritrovo conviviale perché il racconto biblico si orienta sulla visione di Pietro e di una tovaglia con carne di animali che Dio aveva reso puri.
Sappiamo bene che i Carracci erano avvezzi all’uso di simboli o allegorie e anche in questo caso Ludovico se ne serve.
2)-I commensali sono persone di diversa origine poiché rappresentano soggetti di comunità sociali differenti che, secondo il racconto biblico, si sarebbero purificate attraverso la parola di Dio divulgata da San Pietro e dagli Apostoli.
3)-I commensali vestono con stili differenti e di epoche differenti, per essere contestualizzati non solo in società e modi di vita diversi ma anche in epoche diverse perché il Vangelo resta valido per tutti i tempi, inoltre i Carracci sono avvezzi ad attualizzare e, spesso, a infondere note di quotidianità ai contesti dei propri lavori artistici, come abbiamo già affermato nelle righe precedenti.
Tra l’altro, nella iconografia storica, personaggi che vestono a lunghe fogge mediorientali/ebraiche, denotano appartenenza alla religione ebraica o cristiana (come è, ad esempio, la veste di San Pietro, nel dipinto di Ludovico).
4) Il militare, seduto, che conversa con Pietro è di origine oriental/mediterranea, come denota la sua pelle più scura, ciò lascia ipotizzare una provenienza da territori ebraici/palestinesi (ad esempio Jaffa), dunque, potrebbe impersonare proprio il soldato inviato da Cornelio.
Egli sta conversando con l’Apostolo Pietro il quale tiene le gambe al di fuori della tavola, quasi a voler esser libero, in qualunque momento, di potersi alzare da tavola, inoltre, non guarda il domestico che gli versa la bevanda, poiché è molto preso dalla conversazione: stanno forse parlando di Cornelio e della loro importante missione?
Ciò spiegherebbe anche la presenza, in piedi e fuori dal gruppo, dell’“uomo misterioso” il quale, in realtà, non è distaccato dal contesto perché se ne sta proprio dietro le spalle del commensale che beve da un grande bicchiere trasparente.
Ecco, allora, che l’”uomo misterioso” e il bevitore seduto, possono impersonare i due domestici inviati da Cornelio: è ora di partire, è giunto il momento di congedarsi dalla casa di Simone Coriario e l’“uomo misterioso” guarda fisso verso Pietro, lo sollecita con gli occhi: “È ora di andare!” sembra dirgli con sguardo d’esortazione; il loro dovere è troppo importante per indugiare oltre perché un pagano romano, presto, si convertirà, per primo, a Gesù, quindi, c’è urgente bisogno di partire.
La linea obliqua che dal suo sguardo arriva dritta fino a Pietro, dimostra che l’“uomo misterioso” esorta rigorosamente l’Apostolo perché è giunta l’ora di accomiatarsi e partire.
I tre personaggi, infatti, si trovano raggruppati al punto che la loro composizione nella campitura scenica, crea un triangolo geometrico formato dal soldato e dal bevitore in posizione seduta e dalla posa in piedi dell’“uomo misterioso”.

Il triangolo, come elemento compositivo che conferisce ordine e stabilità nel posizionare i tre personaggi sulla scena, è spesso presente nei dipinti rinascimentali e in seguito si continuò ad utilizzare questo tipo di studio prospettico.
Non vi è dubbio che si tratti di un’opera attrattiva, interessante e caratterizzata da connotati suggestivi, grazie al metodo usato dall’artista per raccontare un episodio estremamente significativo del testo biblico, episodio che testimonia lo spartiacque decisivo, tra il mondo precedente alla venuta di Cristo e quello successivo.
Anche per questo motivo, essendo ben noto, storicamente, quale fosse il rispetto che i tre maestri bolognesi, fondatori dell’Accademia Clementina, avevano per la Chiesa (che tra l’altro era una dei loro maggiori committenti), si ritiene piuttosto plausibile che il contesto narrato dai pennelli di Ludovico nell’affresco in questione, rispecchi in toto il racconto originale degli Atti degli Apostoli.

Anna Rita Delucca (storica dell’arte) giugno 2024

 

 

Alcune fonti di studio utilizzate:

-Rambaldi A., (a cura di), San Michele in Bosco, dagli olivetani all’Istituto Ortopedico Rizzoli, IOR,2020, Bologna.
-Vangeli e Atti degli apostoli, Con prefazione di Matteo Zuppi, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena per introduzione e testo biblico, Paoline Editoriale Libri/ Figlie di San Paolo, 2017, Milano.
-Volpe C., Il fregio dei Carracci e i dipinti di Palazzo Magnani in Bologna, edito da Credito Romagnolo, Litografica Bodoniana, 1983, Bologna.
-Rambaldi A., (a cura di), San Michele in Bosco. C’era una volta sul colle, Vol. 15, IOR (Istituto Ortopedico Rizzoli) edizioni, Bologna.
-Spadoni C., in Collezioni d’arte Rolo Banca. Opere dal Cinquecento al Novecento, Loggetta lombardesca, Ravenna, 2001, Ravenna.
-Benassi S., L’Accademia Clementina. La funzione pubblica. L’ideologia estetica, Minerva edizioni, 2004, Bologna
– Benini J., Emiliani A., (a cura di), Percorsi del Barocco, Acquisti Doni e Depositi alla Pinacoteca Nazionale di Bologna (1990-1999), Minerva edizioni,1999, Bologna.
-Rambaldi A., (a cura di), San Michele in Bosco. C’era una volta sul colle, Vol. 16, IOR, Bologna.
-La Sacra Bibbia, Edizione Ufficiale della CEI, Conferenza Episcopale Italiana, Edizione a cura della Unione Editori Cattolici Italiani (UECI), By Edizioni Paoline per le soluzioni tecniche e grafiche, By Conferenza Episcopale Italiana SRL per il Testo Sacro, Roma, 1974, Stampato negli stabilimenti dell’Antoniana S.P.A., industria grafica in Padova, Febbraio 1983.
-Bibbia Volgare, pubblicata nel 1471 dal tipografo Nicolas Jenson e ristampata nel 1882 da Carlo Negroni, politico, giornalista e letterato italiano, in Scrutatio, https://www.scrutatio.it/bibbia/lettura/it/volgare/51/10
-Tricarico M.F., Insegnare la religione con l’arte; questioni giustificative e modello di analisi del testo arte, Edizioni Elledici, 2002.
(A.R.D.)

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