Israele, Palestina, Occidente visti con gli occhi dell’arte
Siamo in un’epoca di caos sociale.
Sono tanti (troppi) coloro che raccontano la storia secondo criteri fai da te per potersi arrogare, con disinvoltura, il diritto di giustificare guerre e violenze inaudite verso i popoli, mostrando -come se la prima e la seconda guerra mondiale non fossero bastate- la loro convinzione che la civiltà e il rispetto per il prossimo si possano, sfacciatamente, calpestare in nome delle proprie, individuali priorità.
È per questo motivo che abbiamo deciso di tentare un breve excursus storico/artistico per chiarire almeno in parte le dinamiche che nel corso dei secoli anzi, dei millenni, si svilupparono nella vita e nei comportamenti di alcuni popoli medio orientali che, fino alla prima metà del Novecento, sembravano lontani anni luce da noi occidentali sia, per la distanza territoriale sia, per la tipologia di civiltà e società che li caratterizzava, ma che ora, con la globalizzazione degli ultimi decenni, ci vivono accanto, a tu per tu, nelle moderne città europee e mondiali.
Purtroppo, ancora oggi, si sa poco sulla loro cultura poiché nelle scuole si studia, ovviamente, quella delle nostre origini trascurando -tranne che in specifici settori come alcune facoltà universitarie- l’approfondimento di queste civiltà che sono antichissime, secondo i riscontri storico/ archeologici fino ad oggi rinvenuti.
Questo significa, però, nostro discapito, che sapendo poco di loro, spesso siamo portati a giudicare i loro avvenimenti in modo un po’superficiale.
Ecco allora che attraverso la storia e l’arte -entrambe strumenti essenziali per raccontare i fatti del passato- cercheremo di affrontare sinteticamente, poichè lo spazio di un articolo non può concedere di più, alcuni passaggi fondamentali che si sono stratificati, nel corso dei secoli, in qualche parte della società medio orientale conducendola a dover convivere malvolentieri nel territorio israeliano/palestinese, soprattutto a causa della divergenza religiosa tra musulmani ed ebrei, le due confessioni più importanti nel mondo, oltre a quella cristiana che però, in quei territori costituisce una larga minoranza.
Ma per poter parlare di divergenze e conflitti che, da sempre, affliggono questi due popoli e religioni, bisogna tornare molto, ma molto, indietro nel tempo anche se non tutti sono d’accordo perché, sempre più spesso, nei talk show e nei media di attualità, si sente gente che afferma una noiosa cantilena “ Ma no, non si può rivangare il passato ultra-millenario, guardiamo ad oggi, ormai Mosè, Abramo, Maometto e compagnia bella, son passati da mo’…” .
Ecco questo lo potremmo definire “tipico pressapochismo all’occidentale” chiaramente emerso da una .mentalità, la nostra, che facilmente archivia tutto quanto non abbia a che fare con il senso pratico, concreto, tangibile -e a volte nichilista- verso ciò che non risponde a quelle esigenze di puro materialismo a cui siamo ciecamente abituati, quasi fossimo annebbiati dal nostro individualismo, dalla nostra incessante corsa verso il benessere, la comodità della vita, la salvaguardia delle “nostro orticello” e non ci accorgiamo neppure che, per altre civiltà come quella ebraica e musulmana, la religione è parte integrante della vita quotidiana, del comportamento civico, morale e legale.
Di qui vediamo nascere le contraddizioni tra il convivere secondo certi principi impartiti, ad esempio, dal Corano e il nostro modus vivendi, la nostra maniera di concepire la legalità e la morale civile, totalmente slegate da precetti di tipo religioso, come avviene invece per i musulmani.
Allora nasce un quesito: ma è logico pensare che mentalità così diverse e -diciamolo pure- opposte, possano convivere senza problemi nello stesso territorio?
La globalizzazione, così come è stata concepita e realizzata fino ad oggi, ci mostra piuttosto il contrario.
Purtroppo non è un segreto che, a suo tempo, pure l’Impero Romano applicò una “globalizzazione” che ne segnò la rovinosa fine.
Ma ritorniamo ai due popoli -palestinese ed israeliano- sui quali vogliamo concentrare l’attenzione: noi occidentali ci chiediamo, da sempre, per quale motivo non riescano ad andare d’accordo.
Quante volte sentiamo commentare: “In fondo si contendono una piccola striscia di terra”.
Ognuno nel mondo ha diritto di aver un posto dove stare.
Qualcuno di noi afferma che i Palestinesi siano sempre stati oppressi dagli Israeliani, qualcun altro, al contrario, sostiene che non si può difendere organizzazioni terroristiche che assaltano il popolo israeliano; noi dell’Occidente prendiamo, ogni volta, le parti di uno o dell’altro, ma cosa sappiamo, davvero, di loro?
Chi sono veramente questi popoli? Abbiamo detto poc’anzi che siano molto più antichi di noi.
Infatti, la Bibbia stessa, uno dei libri più ancestrali e misteriosi che si conoscano, ne scrive già nel primo libro, la Genesi.
I riscontri archeologici degli ultimissimi secoli e gli cavi tuttora in atto, non fanno altro che confermare la presenza di questi antichissimi popoli biblici come i Sumeri, i Babilonesi, i popoli semiti, autoctoni di tutti quei territori che oggi corrispondono al Medio Oriente come Iran, Iraq, Siria, Palestina, Libano e così via.
Per non parlare del popolo africano dell’Egitto che da sempre, proprio a causa dei suoi confini adiacenti ai territori mediorientali, si ritrovò ad aver a che fare con loro, come ci raccontano le storie di Mosè, per esempio.
Nell’Antico Testamento, la Bibbia ci racconta che Abramo (discendente dal ramo di Sem, uno dei figli di Noè), circa duemila anni prima di Cristo, fuggì dalla sua Ur (città sumera che schiavizzava il popolo ed era estremamente corrotta.
Fu guidato da Dio (che lo aveva scelto perché i seguaci di Abramo erano gli unici che credevano in un solo Dio, non erano politeisti come i sumeri, gli egizi o gli altri popoli allora esistenti).
Non è un caso se il moderno patto tra il Bahrein ed Israele è ufficialmente intitolato “Accordi di Abramo”; purtroppo questo patto è saltato perché il 7 ottobre 2023, è iniziata l’offensiva, proprio nel cinquantesimo anniversario dallo scoppio della guerra arabo/israeliana del 1973.
Musulmani ed ebrei, dunque, hanno in comune il fatto di credere in un solo Dio; il Cristianesimo è l’ altra religione che parte dal medesimo presupposto e non è un caso, neppure, che a Gerusalemme, città che oseremmo definire “l’ombelico del mondo”, siano presenti i pilastri delle tre maggiori fedi mondiali, in segno di pacifica convivenza; una pacifica convivenza che, però, sembra essere continuamente sotto scacco).
Ma non perdiamo il filo e torniamo ad Abramo che, una volta giunto nel Negheb e piantate le tende, dovette ripartire perché una grande carestia (Genesi 12, 2) aveva invaso quel territorio; così scese in Egitto dove, però, il faraone volle prendersi Sara, sua moglie.
Dio punì il faraone che lasciò andare Sara e Abramo, con tutto il loro sèguito, fuori dall’Egitto.
Fu così che ripararono di nuovo in Nagheb e in Palestina.
Da tutte queste letture si può ipotizzare che Abramo fosse una sorta di sovrano del suo popolo, quantomeno un capo, anche perchè negli anni successivi, guidò i combattimenti proprio contro i re medio orientali (Genesi 14).
A quell’epoca anche tra gli ebrei di Abramo, vigeva la poligamia, come per i musulmani successivamente – usi che essi stessi, si erano tramandati proprio dai discendenti di Abramo, poiché l’Islam è una religione istituita da Maometto, profeta di Allah, nato nel 630 dopo Cristo, quindi addirittura successivamente all’inizio del declino dell’Impero Romano.
Fu così che Abramo non ebbe solo l’ebrea Sara in moglie, ma ebbe come concubina, Agar, la sua schiava egiziana che in quanto tale non era devota al Dio di Abramo.
Sara non aveva ancora dato figli ad Abramo, ma Agar sì, concepì un figlio che fu chiamato Ismaele.
Successe, però, che dopo molto tempo e molte preghiere a Dio, Sara, già anziana restasse incinta dando alla luce Isacco.
Ismaele, non essendo ben accetto a Sara, ad un certo punto venne mandato nel deserto insieme sua madre Agar (Genesi 21,8) ma la Bibbia dice che Dio ne ebbe compassione concedendo loro, di sopravvivere a Paran dove Ismaele sposò una donna egiziana.
Isacco invece ebbe un figlio che chiamò Giacobbe/Israele, capostipite degli eponimi delle dodici tribù israelitiche.
Ma secondo la narrazione biblica (Genesi 25, 19-50, 14), sottrasse il diritto di primogenitura al fratello Esaù.
Dunque è sin da tutte queste origini che iniziano le diatribe tra le stirpi.
Potremmo continuare all’infinito nella narrazione ma ci fermiamo qui, perché si può già comprendere quanto indietro nel tempo si affondino le radici di quel conflitto che è, certamente, un conflitto territoriale ma, prima di tutto, è un conflitto religioso tra questi popoli che, in realtà, provengono da un unico ceppo originario. Queste stirpi si sono disperse e divise attraverso mille vicende storiche -e per alcuni aspetti leggendarie- le quali, seppure siano state scritte in un testo che non si può essere definito storico, la Bibbia, sono ricche di connotazioni storiche. Alcune tracce di tali popoli, oggi traggono riscontro negli studi e negli scavi archeologici.
Per questo motivo, a rigor di logica, non possiamo escludere a priori che possa esservi un qualcosa di reale in questi racconti biblici.
Israele e Ismaele rappresentano due stirpi che dallo stesso ceppo di partenza i separano e prendono due strade differenti.
Probabilmente anche ad qui trae origine quella diversità che, nei secoli, sfocerà in ulteriori cambiamenti.
La Genesi stessa lo afferma (25,12) quando parla della discendenza di Ismaele sul territorio di Avila, ai confini con l’Egitto, in direzione di Assur (la odierna Siria).
Poi, ancora, parla (25,19) della discendenza di Isacco, ossia del figlio Giacobbe, detto anche Israele, da cui, come già detto, prenderanno il via le dodici tribù.
Il resto delle vicende più o meno lo conosciamo poiché da queste divisioni ancestrali, partono le diramazioni che addurranno a tutti i successivi conflitti.
La nostra storia dell’arte aiuta a narrare, con le immagini, di epoca in epoca, tutti questi avvenimenti che fino a poco tempo fa, riguardavano solo marginalmente l’Occidente. Oggi, però, pare necessario cominciare a riprendere in mano gli antichi testi e confrontarli con gli eventi odierni, per poterne capire meglio le dinamiche, poiché senza la nozione della storia, andremo poco lontano nella conoscenza delle radici profonde che portano i popoli a compiere determinate azioni o scelte.
Gli Stati palestinese e israeliano non si sono mai concretamente realizzati nei tempi antichi: per vari motivi, entrambi finivano continuamente nelle mani di qualche sovrano conquistatore dei loro territori.
Se analizziamo le differenti fasi storiche, di fatto, si è passati dalle originarie etnìe semitiche, cananee, alle dodici tribù, al regno di Giuda, separato da quello di Giacobbe/Israele, mentre nel resto del territorio dominavano i sovrani medio orientali (babilonesi, ecc.), poi i Persiani, i Macedoni, i re seleucidi gli asmonei e così via, fino all’impero romano -durante il quale era nato anche il cristianesimo-, poi quello bizantino e i califfati (islamici da Maometto in poi).
In seguito l’impero ottomano (turco) prese il sopravvento in molte parti di quei luoghi apportando un forte incremento dell’ islam; questo non potè che inasprire i disaccordi con il mondo ebraico finchè, poi, arrivando ai tempi moderni, i vari mandati europei, come quello britannico, precedettero le fasi che portarono ad un labile filo di equilibrio. Ma tale equilibrio, avviato negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, non giunse mai ad un vero e proprio patto di stabilità, nonostante la costituzione dello Stato di Israele, che non fu riconosciuto, però, da tanti palestinesi che tuttora contestano il metodo con cui si è giunti alla sua realizzazione.
Tutte queste tensioni e incomprensioni si allargano, a macchia d’olio, verso gli altri territori giungendo fino alle aree interne dei paesi occidentali dove si percepisce un’ atmosfera esplosiva, alimentata anche dalle posizioni apatiche degli Occidentali che, seduti sugli allori dell’ apparente opulenza di cui godono, non si scomodano più di tanto per ricercare il senso di tali dinamiche di conflitto sociale ed economico, che in qualcuno, trovano pretesti per sfociare nel conflitto religioso.
Ci chiediamo se non sia, forse, giunto il momento di guardare in faccia ai nostri errori, nell’accogliere senza programmi ben gestiti, persone per cui non si fa nulla, lasciandole in mezzo alla strada con un materasso rimediato in qualche discarica; forse sarebbe ora di affrontare in modo serio la situazione con chi vive già nei nostri territori, fornendo regole precise di convivenza e rispetto delle leggi, abitudini e tradizioni.
Ci chiediamo se non sia giunto anche il momento di essere un po’ più solidali sia con gli autoctoni sia con chi è immigrato nei paesi occidentali, evitando ghetti nelle città, creando una società che alimenti meno divisioni economiche e di classe, per evitare che sotto la cenere della scontentezza, si alimenti il fuoco della violenza.
Ai lettori e…ai politici l’ardua sentenza.
Anna Rita Delucca, 19 /11/2023