Il viaggio di Tom col carico di maiali
Sabina Niceforo
Tom era arrivato al solito orario all’allevamento di Betta e Gio’. Aveva parcheggiato il suo camion al solito posto ed era andato a bersi il caffè che Betta gli offriva ogni volta. L’operazione di carico dei maiali sul suo automezzo avrebbe richiesto all’incirca un paio d’ore e poi sarebbe partito verso il macello, a circa 600 chilometri di distanza, dove avrebbe impiegato un’altra oretta abbondante per far scendere le bestie. Erano le 7 del mattino di un lunedì, questo incarico sarebbe potuto dirsi completamente assolto verso le 13 del giorno dopo: il tempo di farsi un pisolino, una bella doccia rinfrescante e si sarebbe trovato giusto in tempo per lo spettacolino di Natale del figlio a scuola. Suo figlio, l’ultimogenito, di nome Andrea, frequentava la terza elementare (o come si dice adesso, la terza classe della primaria) ed aveva ben dieci anni in meno della sorella, oramai una vera e propria donnina. Tom e sua moglie si erano ritrovati a fare i genitori di un neonato in tarda età, quando oramai si erano già convinti che la loro Sara sarebbe rimasta figlia unica: Tom aveva provato a convincere la moglie a lasciar perdere, a non portare avanti quella seconda gravidanza perché a 44 anni lei e 46 lui erano troppo vecchi per rimettersi a giocare alle bambole, con pannolini e biberon. Però, poi, quando Andrea era nato, il suo orgoglio paterno era esploso all’ennesima potenza ed ora che poteva godersi le partite di calcio del suo figliuolo, che giocava nella scuola calcio del suo paese, e guardare in TV tutti gli incontri della Juventus in compagnia di un altro piccolo tifoso, non aveva più alcun dubbio che sua moglie era stata molto saggia a tener duro ed a far nascere quel ragazzino. “Le previsioni danno neve, Tom” gli disse Betta mentre gli porgeva la tazzina col caffè. “Ho previsto qualche ora di tappa notturna al rientro così evito di viaggiare nelle ore più fredde” le rispose sorridendole. Betta e suo marito Giò gli piacevano come clienti: erano gentili e poi trattavano le loro bestie con più umanità. Era un allevamento un po’ meno brutale degli altri anche se a lui non piaceva comunque né l’odore di quei posti né il rumore dei versi strazianti degli animali che non ne volevano mai sapere di salire sui camion. Tom non era vegetariano anzi la fiorentina era decisamente uno dei suoi piatti preferiti però non capiva perché non si potesse far vivere serene le bestie prima di ammazzarle e rispettarle di più: “Come facevano gli indiani d’America, che ringraziavano i bisonti prima di ucciderli perché fornivano loro cibo ed abiti” pensava tra sé e sé ogni volta che si trovava a caricare gli animali prima del viaggio della morte. “Siamo pronti, Tom” si affacciò Gio’ per richiamarlo. Si doveva aprire il camion, preparare la passerella per far salire i maiali. “E speriamo di non dover usare la frusta elettrica per convincerli a muoversi” pensò. Ma i maiali senza quella spinta per nulla piacevole si bloccavano e si rifiutavano di procedere; sapevano perfettamente che non li stavano portando in gita a Gardaland ed il loro istinto li portava a diffidare di quei camion da cui tutti i loro amici che erano saliti nelle settimane precedenti, non avevano mai più fatto ritorno. Tra i lamenti degli animali, il ronzio della frusta, l’odore acre ed a tratti nauseante, si era giunti al momento della partenza. “Buon viaggio, Tom” gli gridò Betta, sventolando il braccio come si usa fare per salutare i passeggeri delle navi da crociera. Eppure non era né un viaggio di piacere né nulla di simile. “Arrivederci e buon Natale! Ci si vede dopo le feste” rispose Tom, alzando appena la mano in segno di saluto, ma accompagnando il gesto appena accennato con uno dei suoi larghi sorrisi assai comunicativi. Imboccò presto l’autostrada: direzione nord ovest, al centro della bufera di neve che il meteo aveva previsto per le successive ore. “Domani sarò di nuovo a casa” pensò, pregustandosi il calore della festa natalizia scolastica ed i tortellini in brodo che la moglie gli aveva promesso per la cena.
Gli piaceva ascoltare “La carica di 101” una trasmissione radiofonica del mattino molto spiritosa che gli metteva sempre un certo buonumore addosso: fino alle 10 il viaggio era stato piacevole, grazie a qualche risata che la banda di intrattenitori gli aveva strappato; ma alle 11 ebbe bisogno già di una prima pausa caffè: era molto stanco, non vedeva l’ora di fermarsi per qualche giorno e riposarsi. La vita dell’autotrasportatore stava diventando ogni giorno più faticosa: tante sere fuori casa, tanti chilometri da macinare ogni settimana, tanto stress e poco guadagno. E poi suo figlio Andrea gli mancava particolarmente. Gli mancava quell’abbraccio forte forte che il suo bambino gli dava la sera prima di andare a letto. Quando era a casa, lo metteva lui sotto alle coperte, gli raccontava una storia e poi gli allungava il suo amichetto di peluche, un maialino simpatico e dalla faccia birichina di nome Tommy, come lui. Tom in realtà era il diminutivo di Tommaso, il nome del suo nonno paterno, ma poiché a sua madre non era mai piaciuto, sin da piccolissimo lei aveva preso l’abitudine di chiamarlo Tom e, in effetti, era poi diventato Tom per tutti. Suo figlio Andrea aveva deciso di battezzare l’amico peloso come il papà, per sentirne meno la mancanza tutte le volte che doveva partire per lavoro, lasciandolo da solo in mezzo alle donne di casa a vegliare su di loro (come gli diceva sempre di fare). Non c’era sera che il maialino Tommy non fosse con lui nel letto, non c’era mattino che non gli fosse accanto nel risveglio, non c’era pomeriggio che, rientrato da scuola, non corresse da Tommy a raccontargli tutti i fatti accaduti durante la giornata. “Non trovi che i maialini abbiano una faccia davvero simpatica?” gli chiese una volta Andrea. E Tom gli rispose di sì, che era proprio vero che i maialini non solo hanno una faccia simpatica, ma che sono anche molto utili, affettuosi e sensibili perché percepiscono ogni emozione in modo molto forte. Andrea si era stretto al padre in un caldo abbraccio e gli aveva detto che da grande lui avrebbe comprato un maialino da tenere in casa, al posto dei cani e dei gatti perché i maialini sono più carini e simpatici di ogni altro animale. Squillò il cellulare: era sua moglie. “Sono andata a prendere Andrea da scuola. Mi sa che si è beccato l’influenza. Ha un febbrone da cavallo e tanta tosse” “O no. Puoi passarmelo?” domandò Tom preoccupato. “Ora sta dormendo, ti farò chiamare più tardi. Temo che la partecipazione allo spettacolo salterà. Ma pazienza.” Sua moglie era un’inguaribile ottimista, sempre pronta a vedere il bicchiere mezzo pieno. “Ma Andy ci teneva così tanto a questa recita!” borbottò Tom, pronto a dare battaglia all’assurda serenità della sua donna di fronte a quella che pareva prospettarsi come la delusione del secolo (non si sa bene, poi, se più per lui o per suo figlio). “Non pensarci, ora. Pensa a guidare. Magari domani gli sarà passata la febbre e potrà partecipare” concluse, con la usuale dose di buonumore. “Buona giornata. Salutami Andrea e Sara” Tom chiuse il telefono di malavoglia. Entrò nel motel per bere il suo caffè, deluso ed arrabbiato. Era tempo di rimettersi in cammino. Uscì dal gabinetto e si strinse nel giaccone imbottito; faceva davvero un gran freddo, le mani senza guanti erano diventate due pezzi di ghiaccio. Si accostò al suo camion e pensò a quanto freddo stessero patendo quei maiali, a viaggiare in un vano semi-aperto con il nevischio che gli arrivava addosso ed il vento gelido che sferzava ogni cosa. Si avvicinò al portellone posteriore per controllarne la chiusura ed incrociò lo sguardo di uno dei maiali: uno sguardo spaventato, ma non codardo. “Ehi tu! Perché mi guardi così? Non sono mica io che ho deciso la tua sorte, sai? Io vengo pagato solo per farti da tassista. Non cambia mica di molto se t’ammazzano a casa tua o a mille chilometri di distanza!”
“Gggmmmffff!!!” il maiale emise un suono così forte che alcuni passanti si girarono ad osservare la scena, richiamati da quel grugnito che era parso un verso a metà strada tra il rimprovero e la disperazione. “Hai un bel carattere, si vede! Infatti non ne volevi sapere di salire su questo camion stamane, eh?” Tom sorrise quasi imbarazzato; da una parte si sentiva gli sguardi addosso di tutta quella mandria di persone ipocrite che lo stavano scrutando e quasi rimproverando per ciò che stava facendo passare ai maiali, dimentichi di aver appena mangiato un bel panino col prosciutto crudo, dall’altro avvertiva un senso di colpevolezza a causa del giudizio appena emesso su di lui da quel povero animale in gabbia! “Hai ragione. Lo ammetto!” continuò Tom, rivolgendosi direttamente a quello strano interlocutore “non è la stessa cosa morire così o morire ammazzati a casa propria dopo aver vissuto una vita felice. Siamo crudeli. Ma io non posso farci nulla: sono solo l’ultima ruota del carro, non ho voce in capitolo, non ho alcun potere, non posso cambiare le cose. Mi dispiace!” Il maiale lo guardò fisso negli occhi. Sembrava incredibile, fantascientifico, eppure a Tom era parso che quell’animale avesse compreso le sue parole, che lo avesse ascoltato e, ancora una volta, disapprovato. I suoi occhi vivaci ed espressivi lo scrutarono “Gggmmmff” emise un altro verso, ma stavolta sommesso, rauco, indebolito, quasi di resa. Tom non riusciva a distogliere lo sguardo. Si era come incantato, ipnotizzato. Il maiale piegò lievemente la testa di lato, strizzò gli occhi e si girò. Fine della conversazione. Tom salì nel suo abitacolo, mise in moto e si avviò lentamente verso l’immissione in autostrada. Decise di richiamare casa: voleva parlare con suo figlio, sentì forte il bisogno di lui. “Ciao caro. E’ successo qualcosa?” la moglie gli rispose immediatamente, dopo appena uno squillo. “No… è solo che vorrei parlare con Andrea” Tom doveva far fatica per evitare che il groppo in gola lo facesse sciogliere presto in un pianto a dirotto. “Andrea sta ancora dormendo. Ma cosa c’è? Qualcosa non va?” “Vorrei avere notizie di Tommy” “Di chi?” la moglie stentava a credere di aver capito bene il nome pronunciato dal suo marito. “Di Tommy” “Tommy?! Tommy il maialino di peluche?!” la meraviglia e lo stupore si erano resi palesi nel tono della voce “Cioè, tu chiami per sapere come sta un pupazzo?” “Sì, cioè, no. Chiamo per sapere se Tommy è sempre ancora così importante per Andrea” cercò di giustificarsi Tom. “Vuoi forse prendergli un pupazzo nuovo là al motel?” “Mah, forse, potrebbe essere un’idea” si affrettò ad arrampicarsi su questo specchio che sua moglie inconsapevolmente gli aveva fornito per trovare una via d’uscita all’assurda piega che aveva preso la telefonata. “Direi che non sia il caso” concluse la donna “Andrea non cederà di un millimetro su Tommy: lo sai bene che i maiali per lui sono una specie di divinità. Il suo Tommy, poi, è l’incarnazione della perfezione assoluta” rise, sperando di averlo convinto ad evitare di buttare soldi inutili per un nuovo giocattolo del tutto superfluo. “Va bene. Hai ragione tu” riattaccò ed aumentò il volume della radio per distrarsi. Erano passate un paio d’ore dalla sosta caffè. Lo stomaco cominciava a farsi sentire coi suoi brutali brontolii, che lo avvisavano che era arrivato il tempo di una pausa più sostanziosa. Oltretutto la nevicata stava diventando sempre più fitta ed abbondante: nonostante il gran passaggio di autovetture, l’asfalto si era ricoperto di una coltre di neve bianca che rendeva molto più suggestivo il paesaggio, ma creava maggiore tensione alla guida. “Big ben ha detto stop!” si chiamò il break con lo stile di Tortora dell’epoca d’oro di Portobello. Squillò il cellulare. “Ciao papà!” finalmente il suo frugoletto si era svegliato.
“Ciao campione! Come stai?” Andrea gli raccontò che la febbre era più bassa, ma che aveva dolore alla gola e non gli andava troppo di mangiare. “Sai che poco fa ho avuto una strana conversazione con un maiale?” gli disse all’improvviso Tom, senza sapere nemmeno bene perché mai avesse deciso di raccontargli questa storia. “Un maiale vero, pà? Uao…che figata!” le domande cominciarono a piovere a raffica e Tom, che non era per nulla bravo ad inventare frottole e a raccontar storielle, finì col dirgli le cose come stavano. “Nooo…papà…nooo” un urlo straziante si levò dall’altro lato della cornetta. “Tu non puoi portarlo a morire, papà, lui ti ha parlato, lui vuole che tu lo salvi, lui vuole essere tuo amico” “Ma no, tesoro, non è così. Sono state mie sensazioni, ma non è vero che il maiale voleva parlarmi” ora si rese conto di quanto sciocco fosse stato a parlare con suo figlio, proprio con lui, di questa vicenda “Sono uno stupido!” pensò tra sé e sé “proprio uno stupido!” “Sta’ tranquillo. Non gli accadrà nulla” inventò la prima grande bugia che avesse mai raccontato a suo figlio. “Gli dobbiamo dare un nome” disse con foga Andrea per il quale era assurdo che tutti gli animali del pianeta non fossero dotati di nome, cognome e carta d’identità. “Ma non saprei…” balbettò Tom. “Lucas. Chiamiamolo Lucas” Perché suo figlio avesse deciso di dargli questo nome non gli era molto chiaro. A parte che non gli sembrava nome da maiale, si domandò anche dove lo avesse mai sentito; non aveva comunque intenzione di contrariarlo o di opporsi pertanto decise all’istante che Lucas o Girolamo o qualsiasi altro nome il bambino avesse detto in quel momento, l’avrebbe accolto con finto entusiasmo. “Magnifico. Bellissimo nome, Ottima scelta. Questo nostro nuovo amico si chiamerà Lucas” “Papà, ma quanti sono in tutto i maiali sul camion?” chiese ancora il piccolo, cui la febbre non aveva evidentemente tolto energie. Tom si preoccupò. Se gli avesse dato il numero esatto, avrebbero passato una mezz’ora ancora a cercare i nomi per tutti. Gli disse quindi che erano solo quattro. La scelta fu, per fortuna, semplice. A Lucas si aggiunsero i tre porcellini Gimmy, Timmy e Tommy, che divenne il fratellone in carne ed ossa del suo amico di peluche. “Beato te, papà, che stai viaggiando con dei porcellini veri. Come vorrei che me li portassi qua” Tom quasi si commosse di fronte a questo entusiasmo così infantile e dolce che suo figlio manifestava per delle creature che erano, forse, le più bistrattate di tutto il creato. Pensò a quanti epiteti ed insulti erano collegati al povero maiale e si convinse ancora una volta che suo figlio era davvero un bambino speciale. “E meriterebbe un padre speciale” mormorò Tom. Gli balenò per un attimo un assurdo, eroico pensiero, che lo avrebbe reso agli occhi di Andrea il più epico dei padri. Ma immediatamente si rese conto che riuscire a mantenere in casa ottanta maiali sarebbe stato davvero assai improbabile! Il cibo dei motel non era certo di qualità eccelsa però alcuni piatti erano davvero saporiti: si era proprio gustato un bis di primi piatti, uno a base di funghi e l’altro al burro e salvia. Un altro caffè per mantenersi sveglio, un pacco di biscotti da tenere con sé nell’abitacolo per soddisfare i piccoli languorini che arrivavano all’improvviso e, soprattutto, per vincere talvolta la noia del viaggio. Ora era pronto per ripartire. Ancora una volta il passaggio dall’interno del motel ben riscaldato all’aria gelida di fuori lo aveva fatto sobbalzare; la neve poi diveniva sempre più fitta e preoccupante “Mi sa che dovrò fermarmi molto prima del previsto” pensò Tom, dando un’occhiata al cielo grigio, che prometteva neve ed ancora neve ed ancora neve per molte ore! Era prossimo al camion quando fu richiamato nuovamente da Lucas: “Ggggmmmffff”. Al primo verso non reagì, era deciso a non farsi influenzare da ciò che avevo percepito nella sosta precedente e che aveva poi raccontato a suo figlio, facendosi condizionare ancora di più. Ma la seconda volta il grugnito fu ancora più imperioso e convincente; Tom si avvicinò al portellone da cui sbucava la testa del maiale: “Cosa vuoi adesso? Che cerchi da me? Sai che ora hai un nome? Sei stato battezzato Lucas da quel pazzo di mio figlio! Ti vorrebbe adottare, ma non credo che mia moglie ed i miei vicini sarebbero tanto d’accordo con questa cosa”. Lucas lo guardò in modo così eloquente da lasciarlo stupefatto. Gli stava chiaramente suggerendo di lasciarli andare, di renderli liberi, di ascoltare la sua coscienza, il suo cuore e le parole di Andrea, il suo bambino. “Non se ne parla proprio. Perdo il lavoro io, sai, se faccio questa cosa?! E poi, dove potrei mai mettere ottanta maiali senza farmene accorgere da nessuno? Non siete mica dei cricetini, siete bestie enormi e rumorose! Se vi lasciassi qua sull’autostrada, tempo mezz’ora e sareste di nuovo imprigionati…ed io pure…sì, finirei decisamente in galera!” Ma il maiale non aveva intenzione di arrendersi. Lo guardò di traverso, regalandogli uno sguardo dolce e mieloso, di quelli che si vedono fare dai cani nei film della Disney “Gggmmfff” il suo verso era sommesso ora, gli stava suggerendo di non preoccuparsi delle conseguenze, ma di agire senza pensarci, così, solo per fare la cosa giusta. Tom s’irrigidì: “Devo essere impazzito” pensò. Di scatto corse al posto guida, mise in moto e partì a razzo, per evitare di cambiare nuovamente idea e lasciarsi vincere da quegli assurdi pensieri che gli stava suggerendo un…maiale! Riuscì a percorrere ancora poche decine di chilometri, arrancando sempre più faticosamente su un’autostrada che oramai assomigliava più ad una pista da bob, poi decise che era tempo di fermarsi per la notte; si erano fatte le cinque del pomeriggio, eppure sembrava mezzanotte. Il cielo era scurissimo, i fiocchi di neve erano diventati tempesta, imboccò la prima uscita che gli si presentò davanti “Porcelli”. “Non ricordo d’aver mai visto questo paese!” pensò Tom mentre lasciava l’autostrada per provare a trovare riparo in un luogo più caldo ed accogliente. Pagò il pedaggio col Telepass e si diresse verso il centro del paese, indicato da una freccia blu. Era buio pesto, tutto intorno c’erano alte colline innevate e nemmeno un altro essere vivente, a parte i maiali sul suo camion. Spense la radio per concentrarsi meglio e non lasciarsi sfuggire qualche segnale che avrebbe potuto aiutarlo a trovare ristoro: cominciò a sentire i versi dei maiali, forti ed insistenti. “Gggggmmmmfff” “Gggggmmmmfffff”, si lamentavano sempre di più, strillando sempre più forte, gli stavano parlando, gli stavano urlando addosso tutto il loro dolore, la tristezza di trovarsi in quel posto, con quel freddo, sapendo che lui li stava portando a morire. “Basta!” Tom urlò, tappandosi le orecchie e rischiando tra l’altro di finire fuori strada per aver lasciato bruscamente le mani dal volante; intravide la freccia di un agriturismo a sinistra. Svoltò all’improvviso: voleva un letto per dormire quella notte, non voleva restare sul camion in compagnia di quegli ottanta maiali disperati, non ce la faceva, non se la sentiva. Arrivò nei pressi dell’ingresso dell’azienda agricola, ma si accorse ben presto che era chiusa, non c’era anima viva. C’era un piccolo spiazzo in mezzo agli alberi; parcheggiò e scese dal camion. Andò sul retro, guardò negli occhi Lucas “Non volete andare a morire senza aver mai vissuto, vero?”. Il maiale mosse la testa, come a dire di sì. “Non avete paura di morire, avete paura di non aver vissuto mai veramente!”. Di nuovo il maiale scosse la testa dall’alto verso il basso, in segno affermativo. “E pensate di potervela cavare da soli in questo posto sconosciuto?”. Lucas grugnì. Era un sì. Tom aprì il portellone, sistemò la passerella per la discesa degli animali. “Li guidi tu, Lucas, verso la libertà? Verso la vita?”. Lucas scese lentamente e silenziosamente, seguito da tutte le altre bestie. In tanti anni non aveva mai visto una discesa dal camion così serena e rilassata come questa. Ogni maiale, passando accanto a Tom, si girava e gli faceva un cenno di saluto con la testa. E ad ogni saluto, Tom rispondeva alzando il braccio e sorridendo. Non si era mai sentito così felice e così soddisfatto di sé. Quando anche l’ultimo dei maiali fu sceso, Lucas tornò indietro, gli si avvicinò e gli toccò la gamba col muso. “Cosa racconterò?” Tom sorrise tra sé e sé “Dirò che mi hanno derubato del carico, che ho trovato la serratura manomessa, così magari l’assicurazione mi risarcisce e io non perdo il lavoro! Anzi, me ne frego del lavoro. Vendo il camion e mi compro una bella azienda agricola e io e Andrea alleveremo maiali!” Lucas emise un verso acuto, a Tom sembrò quasi che si trattasse di una bella risata felice. Gli accarezzò la testa, poi il muso, poi gli disse che solo ad Andrea avrebbe raccontato la verità anche perché sarebbe stato l’unica persona al mondo capace di credere ad una storia assurda come quella. Poi Lucas si incamminò, e tutti gli altri lo seguirono. Tom li guardò allontanarsi lentamente nel buioe nella neve, senza riuscire a togliersi dal viso un sorriso da ebete. Era davvero fiero di sé e non vide l’ora di tornare a casa per raccontare tutta la storia a suo figlio. Poi, quando anche l’ultimo dei maiali si perse dalla sua vista, si girò, salì sul camion, appoggiò la testa e chiuse gli occhi “Buona fortuna, Lucas! Buona fortuna a tutti voi!”