Il suono di una mano sola che applaude
Confesso. Sono riuscito finora a tacere anche tra le quattro mura di casa, riguardo a quel velenoso ossimoro che mi sta perseguitando da un po’ di tempo a questa parte, principalmente in radio, ma anche su giornali, televisione e, manco a dirlo, nel parlare comune. Ho detto, però, Finora.
Partendo dal fatto (inequivocabile) che oggi siamo, non solo circondati, ma totalmente immersi nel rumore, direi che un piccolo angolino di silenzio ci sarebbe quantomeno dovuto, anche solo per rispetto alle nostre orecchie, al nostro cervello, alla nostra anima.
Il problema, il mio problema, è che oggi il nostro vecchio e caro silenzio ci viene sdoganato esclusivamente come “assordante”.
Sì: il Silenzio assordante.
C’è anche quello “irreale”, ma mi dà molto meno fastidio.
Il fastidio che, per adeguarmi alla terminologia corrente definirei “fastidioso”, è dato dal fatto che non riesco più a capire se il nostro linguaggio, o anche il semplice dialogare quotidiano, non possa più esistere se non infarcito da manciate di aggettivi che, più o meno a sproposito, vengono affiancati a sostantivi che, se lasciati alla loro solitudine, se la possono cavare benissimo: anzi, fanno senz’altro miglior figura.
Ho detto che finora ho taciuto, ma quell’ora è poi arrivata sulle note musicali, o meglio sul testo, di Musica leggerissima, canzone peraltro orecchiabile di Colapesce-Dimartino dove, a ripetizione, il silenzio diventa assordante. Non ho nulla contro questa canzone, mi ha soltanto fornito lo spunto per una riflessione, magari banale, ma comunque specchio di questi tempi dove il rumore “rumoroso” ci distrae e ci allontana dalla nostra capacità di esprimerci e di interrogarci sul significato più semplice delle parole. Si è convinti che il valore di un termine sia legato all’utilizzo di figure retoriche consunte che altro non fanno se non confermare, per alcuni, quella che viene definita “la sindrome dello scrittore mancato”.
Niente di grave comunque (o quasi); ritengo che sia il periodo, sia quell’intervallo di tempo destinato a sparire anche rapidamente, durante il quale esplode una “moda” seguita dai più, poi abbandonata dagli stessi, caratterizzata dalla ricerca di un ritmo incalzante, per esprimere concetti semplici, con il terrore che non riescano a colpire abbastanza gli ascoltatori, e che possano rendere lo scrittore mancato meno mancato, e più intelligente e acculturato.
Non vogli dilungarmi, perché potrei diventare assordante, però riporto qui alcune frasi che ritengo rappresentative di ciò che ho appena detto e che ho trovato in un articolo di Maurizio Assalto sul sito de L’Inkiesta del 21 marzo 2022:
“tacito silenzio” e “silenzio ammutolito”, poi i “poveri resti” di una persona scomparsa, le “lamiere contorte” dopo un incidente stradale, “un’aggressione brutale”, un “delitto efferato”, una “violenza inaudita” e una “sentenza shock”.
Dulcis in fundo, un luogo comune definito il più cretino di tutti è la “perdita dell’innocenza”: infiniti sono coloro che l’hanno persa e infinite le situazioni e le epoche.
Ricordiamo che l’umanità l’ha persa nel momento in cui Eva ha dato il primo morso alla mela.
Paolo Bassi