I misteriosi Maestri Comacini e la Massoneria
L’Appennino bolognese è custode di una storia così antica, da perdersi nella notte dei tempi.
Anche l’arte dello scalpellino nacque in epoche lontanissime ma non fu mai un mestiere adatto a chiunque. Le costruzioni più imponenti e monumentali si realizzavano con la pietra e in epoca feudale spesso si richiamavano apposite maestranze per svolgere le murarie per castelli, edifici monastici e di pregio. Una di queste corporazioni era costituita dai Maestri Comacini, muratori /scalpellini provenienti dalla Lombardia e in particolare, si suppone, dalle zone comasche, (anche se non tutti gli studiosi sono concordi nel collocarne l’origine a Como poiché il termine ‘comacino’ potrebbe derivare anche dal latino ‘cum machinis’, con riferimento all’impalcatura o agli argani che essi utilizzavano per la costruzione degli edifici). I Comacini erano attivi sin dai secoli VII e VIII d.C.: citati sia nell’Editto di Rotari del 643, sia in quello di Liutprando del 713, erano però menzionati ben più anticamente, addirittura in una lettera di Plinio Cecilio all’imperatore Traiano in cui l’autore loda un Maestro Comacino per la costruzione di una “amenissima villa suburbana sul lago di Como”. Da ciò si presume che possano avere origine addirittura dai ‘Collegia’ romani i quali non erano altro che vere e proprie corporazioni in cui l’arte antica s’insegnava a porte chiuse nella ‘schola’ e nel ‘laborerium’ non è un caso forse che nell’Appennino bolognese esista ancora oggi un antichissimo borgo denominato Scola, presso Grizzana Morandi, costruito, con grande probabilità, dai Maestri Comacini).
Nel 1893 Giuseppe Merzario ipotizzava che applicassero i precetti di Vitruvio -seppure con l’aggiunta di particolari innovazioni- tramandandoli oralmente, dal momento che i libri di Vitruvio erano andati perduti e furono recuperati solo molto più tardi a Montecassino.
Furono i maestri del ‘Romanico Lombardo’ che ritroviamo tra l’XI e il XII secolo, anche in Piemonte e in Emilia (ad esempio nel duomo di Modena) e che influenzò gran parte dell’Italia. Ad Assisi esiste tuttora un edificio denominato ‘Casa dei Maestri Comacini ’.
Il governo longobardo tenne sotto la sua protezione la ‘casta’ comacina e poiché i Longobardi provenivano dalla Pannonia (regione slava) portavano con sé culti pagani orientaleggianti e anche dopo la loro conversione al Cristianesimo conservarono antichi usi religiosi che vennero adattati alla simbologia cristiana, come ad esempio il culto ancestrale del serpente, divenuto il demone tentatore del Giardino dell’Eden. Il ‘nodo longobardo’ è presente in moltissime cattedrali romanico/gotiche, nelle colonne ritorte o spinate con decorazioni a spirale, forme vegetali intrecciate, figure geometriche o simboli anche di origine pagana e i Comacini furono eccellenti nel compito di adeguare queste simbologie ai canoni della religione cristiana. Ad un certo punto infatti, la loro più sostanziosa committenza divenne proprio il clero ma si mantennero sempre ‘liberi muratori’ in ‘liberi mestieri’ persino quando il feudalesimo iniziò ad assumere gli aderenti alle ‘professioni’in pianta stabile: un privilegio importante ottenuto grazie alla tutela della Chiesa e degli Ordini monastico /cavallereschi che, tra l’altro, attribuivano loro l’esenzione dal pagamento delle tasse e permessi speciali per circolare liberamente in Italia e in Europa. Il fatto che venissero appellati Maestri o Fratelli Comacini per la solidarietà e l’unione nell’impegno lavorativo, il fatto che venissero chiamati fabbri Muratori o Framassoni, il fatto che si riunissero in umili baracche attigue al cantiere chiamate logge per ricevere le direttive del Maestro o per giurare –da parte del nuovo apprendista operaio- di rispettare le regole o i segreti del mestiere (Vitet sostiene che l’invenzione dell’ogiva sia da accreditare ai Framassoni) o ancora, per apprendere le parole e i segni convenzionali di riconoscimento, da una loggia all’altra, durante i loro viaggi di lavoratori emigranti e, in ultimo, il fatto che avessero degli Statuti divisi in Articoli (destinati ai maestri) e in punti (desinati agli allievi), ha condotto a supporre di trovarsi di fronte agli antenati dei ‘Liberi Muratori della Loggia Massonica, pur non essendoci, finora, materiale documentale sufficiente per comprovare questa teoria. Attraverso la loro organizzazione segreta potrebbe aver trovato terreno fertile la trasformazione della massoneria da peculiarmente operativa (quella originaria) a prettamente speculativa e simbolica (quella odierna). Ad avvalorare tale ipotesi è la data 24 giugno 1717, in occasione della quale venne proclamata in Assemblea la Gran Loggia di Londra che segnava la fine dei Maestri nomadi/costruttori e la vittoria dei borghesi sedentari insieme coi nobili oziosi. In tal modo la vecchia fratellanza di mestiere, perdendo terreno, si trasformava in ‘speculativa’, non doveva più necessitare di martello o cazzuola, squadra o compasso, con la duplice funzione di strumento pratico e simbolico, ma ne restava soltanto il valore spirituale: non si dovevano più costruire edifici ma ‘uomini nuovi e perfetti’.
L’origine della Massoneria va indagata dunque in più direzioni: dal punto di vista storico è da valutare soprattutto come terreno di ricerca; dal punto di vista dell’adepto, probabilmente è più che altro legata al valore della sua simbologia; la visione del profano invece, è -per forza di cose – offuscata dall’incomprensibilità della simbologia medesima e per ovvia conseguenza, spesso, giudicata bizzarra e confusa.
Nel territorio dell’Appennino bolognese i Maestri Comacini sono passati in tempi remotissimi lasciando tracce ben visibili ancora oggi, nei portali delle abitazioni che edificarono, dove la rosa propiziatrice di fertilità è uno dei loro simboli più ricorrenti ma pure le date, le iniziali incise sulle case, iniziali che a quei tempi fungevano da numerazione civica.
La linea appenninica che dal nord consentiva di accedere fino al centro Italia permise loro di transitare lungo queste montagne per lavorare su commissione in Toscana, particolarmente nel lucchese, nel pistoiese ed oltre. Non a caso nei monti che si trovano sopra a Sasso Marconi, sono presenti da millenni, delle cave minerarie importanti per l’estrazione di materie prime. Nei secoli passati era molto conosciuta ed utilizzata la pietra di Praduro e di Sasso, un’arenaria di tipo molassico, di colore giallognolo -ma di limitata resistenza- e pure la pietra di Vergato, di facile lavorabilità, un materiale di costruzione tipico, usato anche nel restauro del palazzo del Podestà a Bologna o ancora, la pietra di Montovolo, di un elegante giallo-grigio. Questo aspetto risulta importante per l’abbondanza di materiale da lavoro fruibile da questi antichi costruttori e dunque un ulteriore motivo per giustificare il loro stanziamento in zone montuose dell’Appennino, dove apportarono sistemi di costruzione innovativi ed artisticamente raffinati, pur adattandoli in maniera formidabile, alla tipologia dell’ambiente circostante.
Anna Rita Delucca
(Tratto da “La collina dell’anima. Giorgio Morandi e la sua Grizzana” ,Cordero editore, 2018 pp.17-20)