Il cavallo nella storia dell’ arte dalle origini al XVI secolo

 

Nell’immaginario collettivo il cavallo rappresenta l’emblema della libertà, dell’ istinto ma anche della fedeltà e amore incondizionato, dunque si tratta di un soggetto che si abbina perfettamente all’arte in quanto simbolo di libertà di espressione e more di amore istintivo verso la creatività dell’ intelletto.
I cavalli, vennero raffigurati sin dai tempi più remoti:fra le celebri statuette di Vogelherd, del Paleolitico superiore, scoperte in Germania nel 1931, vi sono alcune sculture in miniatura, realizzate in avorio, che raffigurano soprattutto dei mammut: risalgono a circa 35/30.000 anni fa; sono state attribuite a uomini paleolitici e tra queste sculture primitive compare anche la figura di un cavallo selvatico.
Tra i più antichi animali simili a cavalli (probabilmente sempre selvatici) rinvenuti in arte, vi sono quelli dipinti sulle pareti della grotta trovata a Lescaux, in Francia, che risalgono a circa 15.000/10.000 anni fa; nelle pareti, sono raffigurate in serie, varie specie di animali ma anche figure umane.
Dapprima sono raffigurati i cavalli, poi altri tipi di quadrupedi
( chiamati uri , una specie che poi si è estinta) e per ultimi, dei cervi.
La maggior parte delle immagini principali, sono state dipinte usando i colori rosso, giallo e nero, realizzati o ricavati da pigmenti minerali e composti di ferro -come l’ossido di ferro che dà l’ocra), ematite per il colore nero, ma anche pigmenti contenenti del manganese.

Però anche in Mesopotamia, le prime civiltà successive alle origini (circa 3000 anni a.C.), raffigurarono il cavallo in moltissime loro immagini visive. Lo si deduce dal fatto che i ritrovamenti di manufatti artistici raffiguranti questi animali sono sufficientemente numerosi per poter affermare che venissero di frequente. Del resto il cavallo per moltissimi secoli (anche tra gli egizi per esempio), fu un indispensabile mezzo di trasporto per l’uomo, sia per la vita civile che per la vita militare

Ma sarà la civiltà greca a sviluppare un’estetica particolarmente elegante dell’anatomia di questi bellissimi animali che furono protagonisti di tante saghe e poemi, come l’Iliade in cui si parla di un gigantesco cavallo, realizzato in legno, all’interno del quale Ulisse e i suoi si nascosero per assalire i troiani.

In seguito la conquista del mondo da parte dei romani riunì le usanze di tante popolazioni sottomesse, poiché Roma “caput mundi” concedeva di conservare le rispettive autonomie di culto e usanze proprie dei vari popoli assoggettati, purchè rispettassero rigorosamente, la lex romana.
La rappresentazione artistica delle figure equestri, fu sempre legata alla regalità o alla potenza irruente dell’ars militare e guerriera.
Nel gruppo scultoreo della Sala delle Bighe ai musei Vaticani si percepisce tutto il vigore della velocità e della dinamicità di questi cavalli che scalpitano, nella corsa sfrenata della gara. Sembra uno scatto fotografico che coglie l’istante, invece lo straordinario effetto scenico è dato da un genio scultore che ha plasmato un materiale duro e pesantissimo come il marmo; un’opera di grande ingegno, considerando che il problema di distribuire il peso del marmo, fu risolto elegantemente e scenograficamente, poggiando il corpo dei cavalli su colonne finemente lavorate.
In realtà questo complesso scultoreo è composto da parti antiche d’epoca romana, e parti restaurate e ricostruite da un celebre artista settecentesco, Antonio Franzoni, il quale intervenne unendo la cassa di una biga e una parte di uno dei cavalli ma l’altro – quello di sinistra- venne costruito interamente da lui.
Infatti la cassa della biga era rimasta in San Marco a Venezia fino al 1771, finchè non venne data in dono a un papa. Le decorazioni del carro presentano elementi vegetali, tipici di uno stile artistico risalente all’età dell’imperatore Augusto.
Imperatori e condottieri avevano tutti quanti l’intento di farcire la propria immagine, di un imprinting visivo potente e spettacolare.
Facendo un balzo in avanti nel tempo, dopo la caduta dell’impero romano d’occidente, e il passaggio del potere in mano a quello d’oriente, da Costantino in poi, l’arte bizantina non ebbe più, particolare predilezione per le rappresentazioni profane, anzi privilegiò il sacro: e così in luogo del cavallo, da sempre simbolo di potere e forza, si cominciò a raffigurare maggiormente la simbologia dell’agnello, dell’umiltà cristiana, che rappresentava il simbolo opposto a quello del cavallo ossia la potenza.
Alcune rare raffigurazioni, però, si riscontrano anche nei bizantini: ad esempio, un bellissimo rilievo scultoreo che raffigura un imperatore a cavallo conservato al Louvre: è il noto Avorio Barberini, risalente agli inizi del VI secolo d. C; per non parlare, poi, dei Cavalli di San Marco che presentano tutta una storia, non condivisa però universalmente dagli studiosi e di una loro eventuale origine bizantina.

Nel medioevo che durò circa dieci secoli la storia come pure gli usi e i costumi subirono profonde modifiche: il cavallo veniva distinto a seconda del tipo di servizio che gli veniva fatto prestare, quindi esistevano i destrieri, corsieri, palafreni, ronzini o somieri.
Il destriero era un cavallo da guerra, mentre il corsiero era portato piuttosto per la corsa (ad esempio per l’uso della lancia da parte del cavaliere, quindi utilizzato nei tornei). Il palafreno era più adatto per la vita quotidiana e per viaggiare; il ronzino era un cavallo meno pregiato, più lento e quieto, che portava anche delle some, dei carichi, insomma.
In sostanza questo animale rappresentò anche un importante elemento di distinzione sociale.
I cavalieri combattevano in sella, quindi serviva una particolare abilità che non poteva essere lasciata all’improvvisazione, perciò si preparavano i giovani a diventare cavalieri, come in una scuola dove si apprendeva anche ad un codice di comportamento preciso e si veniva istruiti da veri e propri maestri.
Si cominciava come paggio, poi si diventava scudiero, poi si seguiva un cavaliere esperto in battaglia e infine, per essere cavaliere a tutti gli effetti, si eseguiva un giuramento con una suggestiva cerimonia religiosa, a cui si restava legati per sempre.
Certo è che il cavallo ebbe il suo massimo splendore tra il 700 dopo Cristo e il 1300 poiché in quel lungo lasso di tempo, esso divenne il simbolo stesso della società feudale, soprattutto durante la dinastia carolingia, da Carlo Magno in poi, proprio per esaltare il valore dei cavalieri in combattimento per la sacralità del re.

L’arte, naturalmente, non mancò di rappresentare tutti gli aspetti di questi usi e costumi medievali, quindi a noi sono giunte numerose testimonianze artistiche come i codici miniati.
Facendo un salto avanti di qualche secolo e spostandoci in Germania, possiamo citare un’ opera importante, ma meno conosciuta in Italia, considerata uno dei capolavori del tardo gotico europeo, realizzato dal pittore Nicola Francke (detto maestro Franche): è il polittico di Santa Barbara, risalente al 1415 e si trova al museo di Helsinki qui vediamo un particolare che raffigura il tradimento e punizione dei pastori.
Il dipinto è realizzato con tempera su tavola e in questa ampia inquadratura si vede il cavallo che sulla fronte ha un marchio con la mezzaluna, a simboleggiare l’oriente. E’ inoltre raffigurato il padre di Barbara, Dioscuro (che era pagano) con degli aiutanti, mentre cercano la giovane figlia (che si era convertita al cristianesimo contravvenedo alla volontà di suo padre). Barbara è in fuga da loro e quindi i cavalieri chiedono notizie a due pastori i quali indicano loro la strada presa dalla giovane, tradendo così il volere di Dio che invece protegge la sua fuga. A causa di ciò, le loro pecore vengono trasformate in  cavallette. E qui nel dipinto è narrato l’episodio religioso.
E ciò che interessa a noi di questo dipinto è che anche qui, si vede come il cavallo sia co-protagonista dello scenario, come simbolo del potere di chi lo cavalca.
Nel Rinascimento i canoni descrittivi del cavallo nell’arte subiscono nuove evoluzioni: non si scrissero mai tanti testi d’ approfondimento sul tema, come in quel periodo. Anche nell’arte figurativa lo studio degli animali, in generale, diventa più descrittivo e mirato. Nascono anche botteghe specializzate.
Una curiosità a proposito della rappresentazione del cavallo nel ‘500, è costituita dagli arazzi realizzati da grandi artisti franco/tedeschi, quando si cominciarono a scoprire le nuove terre, dopo il viaggio in India, dell’esploratore portoghese Vasco de Gama, nel 1498. Da quel momento, nelle Fiandre si cominciò a produrre un tipo di arazzo “à maneira de Portugal e da India” o come “tappezzeria di Calicut”, città indiana che si trova sulla costa del Malabar, dove Vasco de Gama era sbarcato e che oggi è chiamata Kozhikode.
La maggior parte di questi arazzi uscivano dai laboratori di tappezzieri celebri come Jean Grenier e Arnould Poissonnier, della città di Tournai, in Belgio, che a quel tempo era il centro maggiore per la produzione di arazzi di soggetto esotico.
Tali arazzi raffiguravano scene celebrative della scoperta europea dell’India: perciò rappresentavano spesso, cortei trionfali di nobili e gentildonne in vesti sontuose, uomini armati, flora e fauna esotiche.
Per quanto riguarda l’Italia si potrebbe citare un elenco infinito di grandi maestri che in quest’ epoca realizzarono capolavori con la tematica del cavallo, da Paolo Uccello a Giulio Romano, dal Mantegna, a Leonardo da Vinci il quale ricevette una commissione da Ludovico il Moro che non realizzò mai sebbene avesse dedicato ben due anni di studio dettagliato proprio sull’anatomia dei cavalli, per poter realizzare un modello in creta dell’ opera commissionata; per una serie di ragioni -tra cui anche la guerra- egli non si dedicò all’esecuzione definitiva di quella che sarebbe dovuta essere la più grandiosa statua equestre fino ad allora mai realizzata, e che doveva raffigurare il Duca Francesco Visconti, padre del suo committente.
Bisognerà attendere un bel po’ per averne una replica -addirittura abbiamo atteso la fine del Novecento, con la scultrice statunitense Nina Akamu che ha realizzato una imponente opera in bronzo, addirittura di otto metri di altezza (il Cavallo dello Snai a San Siro, Milano).
Però Leonardo lasciò vari bozzetti oltre ad uno particolarmente importante della celebre Battaglia di Anghiari, andato perduto ma che fu ridisegnato, dopo il 1550, da un altro artista che era a suo seguito; e questo fatto fortunatamente diede modo -qualche secolo dopo- a Rubens, XVII° secolo, di ricrearne una copia fedelissima.
Finché il cavallo rappresentò l’unico mezzo di trasporto utile per l’uomo, mai si trascurò di consideralo in tutte le possibili espressioni dell’arte.
Ma … fu col passare dei secoli che, ad un certo punto, le cose cambiarono… .

   Anna Rita Delucca

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