Fantasia e realtà nell’arte di Filippo De Pisis
All’alba del XX secolo l’arte italiana si trova immersa in una dimensione fantastico-irrazionale, conseguente reminescenza dell’epoca precedente. Gran parte dell’esperienza romantica e del Simbolismo si legava al mondo arcano e misterioso dell’irrealtà e una volta trascorsa la scia dell’avanguardismo storico, i canoni dell’arte fantastica tornano prepotentemente alla ribalta. Naturalmente insieme a questi elementi emergono svariate incarnazioni dello spirito antico sebbene appaiano rinnovate dalle scienze moderne quali la fisica, la psicologia e la psicoanalisi. Realtà e irrealtà si sovrappongono: nasce l’epoca ambigua dell’incertezza, la ragione perde il suo potere di giudizio sull’essenza delle cose e della vita. Metafisica, Dadaismo e Surrealismo sono il risultato di tali rivolgimenti storico-culturali e nascono soprattutto come correnti eversive nei confronti della realtà stessa. Il surrealismo si espande, in particolar modo, allo scopo di sopprimere tutti i processi psichici e razionali dell’essere umano, sostituendovisi completamente.
Filippo De Pisis, al secolo Filippo Tibertelli (Ferrara 1896-Milano 1956), trascorre i propri anni giovanili in questo clima culturale coinvolgente ma assai distante (lo scoprirà più tardi) dalla sua personalità e dai suoi ideali.
Nel 1924 si trasferisce dalla provinciale Ferrara alla capitale di Francia dove inizia a realizzare paesaggi, marine, nature morte distinguendosi dagli altri pittori italiani per l’estro improvvisatore che lo stimola a creare con libertà e fantasia senza rinunciare alla precisione tecnica necessaria per conferire ad ogni opera i giusti ritmi e raffinatezza di toni.
L’incontro con la metafisica di De Chirico e Carrà costituisce l’incentivo maggiore all’invenzione di nuovi canoni pittorici che De Pisis risolve in maniera del tutto personale nutrendo i suoi quadri d’un forte espressionismo lirico nonchè di profonda sensibilità. Tale individualismo spiega perchè i suoi studi metafisici abbiano maggiori somiglianze (soprattutto per quanto riguarda gli elementi coloristici) con le opere di antichi maestri come Francesco Guardi o il Magnasco piuttosto che con le moderne architetture di De Chirico. I dipinti degli anni successivi presentano un certo alleggerimento dei toni, grazie ad un particolare interesse per la resa della luce che stimola efficacemente l’artista a rinnovare e a trasformare molti canoni della pittura impressionista con una suggestione del tutto particolare dettata dal suo temperamento poetico.
La singolare personalità di De Pisis emerge ad ogni occasione e si manifesta apertamente: uomo brillante, affascinante parlatore, letterato di notevole cultura, alterna la sua grande vèrve a momenti di profonda malinconia subito superata dal suo stile brioso e come scrive il critico Franco Passoni”…dal suo complesso di superiorità” che influisce non poco sulla ricerca di piacere,sul gusto per la stravaganza e per le cose raffinate. In fondo, anche nelle opere, questa incessante ricerca di unità tra stile ed emozione non viene mai trascurata.
A Parigi fioriscono molti suoi capolavori, infatti è proprio in quella città che l’artista trova lo stimolo adatto per riuscire a vedere una sintesi di colori inventata all’istante.
Malgrado ciò egli continua a subire, per tutto l’arco della vita, il fascino magnetico della sua Ferrara ricca di poesia e di una spiritualità non priva di aspetti decadentistico-dannunziani che costituiscono (almeno in parte)le cause di quel suo atteggiamento, in qualche modo, polemico verso le avanguardie europee.
Ma Ferrara significa anche provincialismo e oppressione intellettuale a cui si deve assolutamente sfuggire e sarà Ernesta Tibertelli a fomentare questa fuga, nell’intento di vedere realizzata da parte del fratello prediletto, un’evasione che per lei, donna dal piglio mascolino, chiusa nel ristretto mondo nobiliare della “città del silenzio”(come la definiva D’Annunzio), non potrà mai essere possibile.
Ernesta si occupa di studi esoterici, teosofici e parapsicologici; pare addirittura che il testo attribuito interamente a De Pisis Il Verbo del Bodhisattva, di contenuto filosofico -esoterico, in realtà sia stato composto in collaborazione con la sorella.
Sta di fatto che Ernesta costituisce il trait d’union fra l’educazione di stampo provinciale e l’adorata stagione dell’avanguardia. Il temperamento poetico e lo stimolo creativo trovano ispirazione anche in un’altra città, tappa fondamentale per la pittura di De Pisis: Venezia.Ecco come la descrive la penna di Guido Perocco: “Essa talvolta è tesa e lucida sotto il vento di bora,talvolta morbida e sfatta, tra i filamenti di nuvole colorate, nello specchio dell’acqua e del cielo per cui le apparenze e le illusioni sono suggerite dalla realtà in uno spazio immaginario di pura fantasia. C’è un infinito variare di luci ,di penombre, di mezzi toni, di sfumature e di riverberi che l’acqua rende mobili e iridescenti; quel fluire continuo del tempo sulle architetture antiche, sui campi, sulle case, le fondamenta, i campanili, i fiori alle finestre, i colombi, i gabbiani: motivi di felicità per De Pisis…”.Se dunque a Parigi egli diventa, di fatto, “pittore” scoprendo l’intensa luce dell’arte seicentesca, la soavità del Settecento e il realismo poetico dei quadri ottocenteschi, cogliendo e fissando quell’attimo fuggente che costituisce il tema fondamentale di ogni sua composizione, a Venezia dove può dipingere all’aperto, circondato dalla gente (De Pisis amava molto attrarre l’attenzione)la tecnica pittorica si completa e si concretizza in pochi tocchi sicuri e infallibili.
L’opera omnia dell’artista ferrarese rispecchia una ricerca continua dell’assoluto che giunge, infine, all’espressione più compiuta della sua moderna sensibilità.
La vita emerge fremendo dalla tela, trova forza in sè stessa grazie alla forma, quella vera creata dall’artista che ora si distanzia dal passato dopo averne assimilato l’essenza.
Tale disposizione verso le tematiche dell’assoluto unisce De Pisis a Giorgio Morandi, il pittore del silenzio e della concentrazione.
Può sembrare azzardato accomunare l’arte di due personaggi dal temperamento opposto, l’uno frenetico e vivace, l’altro piuttosto chiuso e introspettivo. E’ vero che nei quadri morandiani non si dà importanza al soggetto in quanto tale ma come puro pretesto per la rappresentazione dell’esistenza.
E’ vero, al contrario, che l’oggetto in quanto tale conta moltissimo nell’arte di De Pisis: ciò che avvicina la mentalità di entrambi, ciò che li spinge a distanziarsi dalle correnti in voga in quegli anni è l’idea che l’artista debba plasmare un’unica sostanza:se stesso, fino a giungere alla creazione della vera forma.
Nella sua residenza parigina, come in quella romana, De Pisis raduna con la più estrosa fantasia “…le cose più impensate e lontane: tabacchiere, bastoni, scatole, conchiglie, uccelli impagliati, farfalle, fiori di carta e un’infinità di altri oggetti…”(Demetrio Bonuglia). In questo modo egli cerca un’identificazione con l’oggetto, tenta di possederlo affinchè i suoi sensi possano assimilarlo per poi trasferirlo nell’opera pittorica. Amore per il bello, godimento dell’attimo per cogliere subito ciò che le cose possono offrire è l’unico segreto nell’arte e fantastica di Filippo De Pisis.
Anna Rita Delucca
Nell’articolo:
La Miniatura
– Così! E’ una fissazione come un’altra!
Io penso un giorno di diventare celebre.
Una contessa intellettuale comprerà a gran prezzo una miniatura che feci da ragazzo su una lastrina vecchia d’oro.
Ricordo che volli imitare quei graziosi lavorucci del 1700 fatti da umili e ignoto artisti.
Vi dipinsi piccolissimi fiori variopinti, un tulipano giallo, variegato di rosso, dei “Non ti scordar di me ” ceruli, delle spighette violacee, dei ranuncoli gialli legati in un mazzetto con un nastrino cilestre svolazzante.
La contessa intellettuale, che si chiamerà per esempio Evelina, farà rilegare in un elegante cerchiello d’oro la lastrina d’avorio e poi dirà alla prima occasione ad un’amica : “Sì cara…veramente questa è una cosa rara e graziosa; è una miniatura che eseguì un ragazzo Filippo De Pisis…me lo hanno assicurato…Si vede che si dilettava anche di Pittura…. Ma già da ragazzo era un po’ enciclopedico …Io la feci legare in oro …Su abito bianco sta bene….”
Così! E’ una fissazione come un’altra e si sa che le fissazioni si riferiscono a cose senza alcun fondamento.
Tale Evelina, in tutti i casi, sarà in fasce o nascerà, oggi, in qualcuno dei paesi del mondo.-
( F.De Pisis – Tratto da “Prosa”, Ferrara, 1920)